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Licenziamento: cosa cambia con il Decreto Dignità
Il decreto Dignità prevede tra le varie misure un irrigidimento delle regole sul lavoro con l’obiettivo di contrastare la precarietà. In particolare, in caso di licenziamento illegittimo, la legge prevede che il giudice condanni il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio. Con il decreto Dignità l’indennità massima salirebbe a 36 mesi, contro le attuali 24 mensilità, e la minima potrebbe salire da 4 a 6 mensilità. Il diritto alla reintegrazione resta in caso di licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Il decreto Dignità non interviene sulle indennità previste in caso di licenziamento intimato violando il requisito di motivazione o con un vizio di procedura, per le quali l’importo è pari a una mensilità della retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.