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Fase 3: Sciotto (Fapi) ad “Agenzia Nova”, smart working incide su economia quotidiana migliaia esercizi
Roma, 18 lug – (Nova) – Non c’e’ pace per gli esercizi pubblici e le piccole imprese del nostro paese che dopo oltre due mesi di chiusura forzata, una volta riaperte le saracinesche si trovano a dover fronteggiare un nuovo problema: il lavoro a distanza, o piu’ comunemente smart working. Una pratica incentivata dal governo per contenere il rischio di contagio, riducendo anche la circolazione delle persone, ma che sta mettendo in ginocchio migliaia di imprese di diversi settori che oltre ai turisti hanno perso anche l’afflusso di lavoratori, pubblici e privati. Una situazione allarmante denunciata in un’intervista ad “Agenzia Nova” dal presidente nazionale della Fapi (Federazione autonoma piccole imprese), Gino Sciotto, secondo cui “commercio e ristorazione, inevitabilmente, subiscono la mancata mobilita’ della forza lavoro, ma non sono le uniche attivita’ a scontare gli effetti dello smart working”. Ma purtroppo i dati dicono che “ci sono tante attivita’ commerciali che hanno subito rallentamenti anche perche’ i dipendenti pubblici e privati restando a casa hanno rinunciato al caffe’ e cornetto, per stare ai consumi piu’ diffusi, ma anche al pranzo, al ricorso al taxi, all’acquisto del giornale, alla lavanderia, all’acquisto di un capo d’abbigliamento”. Insomma, restare a casa e non andare in ufficio “incide in modo sostanziale sull’economia quotidiana” che veniva alimentata da coloro che si recavano sul posto di lavoro.
Per il presidente le perdite registrate dal commercio e dalla ristorazione “sono considerevoli anche per l’assenza di turisti in Italia a seguito del lockdown, e successivamente per la paura del virus”. Secondo i dati raccolti in questi mesi dalla Fapi, l’impatto della crisi sulle imprese e’ stato di intensita’ e rapidita’ straordinarie, determinando “seri rischi per la sopravvivenza”. Il 38,8 per cento delle imprese italiane (pari al 28,8 per cento dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno, secondo una delle ultime indagini condotte dall’Istat. Il pericolo di chiudere e’ piu’ alto tra le micro imprese (40,6 per cento) e le piccole (33,5 per cento) ma e’ “significativo” anche tra le medie (22,4 per cento) e le grandi (18,8 per cento). Alla luce di questi dati, ha evidenziato il presidente Sciotto, “non ci sara’ ripresa economica prima di tre anni, e senza un governo capace di compiere riforme per alleggerire il peso della burocrazia, del fisco e rendendo la giustizia piu’ celere ed efficiente”. Il Covid-19, questa la sintesi del presidente, “ha reso l’Italia piu’ fragile economicamente e la ripresa non si avra’ prima di 3 anni e senza un governo capace di decidere”.
Vista la situazione da parte del decisore politico servono “scelte coraggiose a sostegno degli artigiani, commercianti e piccoli imprenditori che rappresentano il cuore vitale del sistema economico del paese. Non dobbiamo dimenticare – ha aggiunto – che sono le partite iva a sorreggere buona parte della spesa pubblica dell’Italia e pertanto non e’ immaginabile che si possa penalizzare quella parte del piccolo commercio e dei servizi che ha gia’ subito gravi perdite. Servono provvedimenti immediati a partire dall’istituzione di un fondo a sostegno delle locazioni commerciali almeno fino al 31 dicembre”. Infatti, ha concluso Sciotto, con la mancata ripresa dei consumi “non sara’ sufficiente il credito d’imposta al 60 per cento del canone di locazione degli immobili ad uso non abitativo e il 30 per cento del canone nei casi contratti di affitto d’azienda, concesso per i mesi di lockdown. A questi, vanno aggiunti la proroga della cassa integrazione, almeno fino a quando si manterra’ lo stato di emergenza, e forme di sostegno per i mancati introiti”.